Gli occhi di Raoul Bova, verdi come un giardino di primavera inoltrata, non sono solo seduzione, cinema e televisione, o il sogno ladrato di fan ormonate, sono in realtà la porta d’ingresso verso quella che molti si ostinano a chiamare anima ma che credo poco ne sappiano.
Metti una sera prima dello spettacolo, quattro ragazzi autistici al Teatro Manzoni che portano a Raoul i loro dipinti per riceverne in cambio una dedica e l’attenzione ad un progetto ambizioso che restituisca loro l’inclusione e l’indipendenza, che sono in costante movimento, che ti prendono per mano, poi d’improvviso ti stringono e poi fanno silenzio sedendosi nella platea buia e vuota per chissà quale immaginario spettacolo.
Quello che è passato davanti al bar del teatro è stata una spremuta d’anima con Raoul che ha tenuto tra le braccia, con gli occhi fermi sulla questione e parole mai banali, questi ragazzi, scambiandosi pezzi d’amore tra gesti, spontaneità e quel senso di libertà che è disinibizione pulita.
Passaggi che lasciano impronte inaspettate, senza essere cancellate dal mare del successo; disponibilità all’ascolto, ad esserci, a coinvolgere in questo lungo viaggio tutti quelli che sentiranno la necessità di poggiare anche una zolla sulla vita di questi nostri figli.
Il momento in cui si è potuto dire “l’unione fa la forza” senza divismi o apparenze sindromiche, ma solo per la consapevolezza di essere uomini e donne con la necessità di sostenersi.
Grazie Raoul Bova